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“C’era una volta” un tempo in cui la parola Personal Computer non aveva significato. Era il tempo delle console, piccoli marchingegni che si collegavano alla TV, i precursori delle Playstation di oggi. E nelle riviste se ne vedevano davvero di tutti i colori: Intellivision, Atari, Philips, grandi macchine – per l’epoca – che garantivano divertimento unito a stupore. Ed ecco le prime riviste, come l’annuario di VideoGiochi (nella foto) del 1984.  Le pubblicità, accattivanti per l’epoca, mostravano una tecnologia mai vista prima. C’era la Colecovision, con il suo Video Game System, «una console domestica per videogames su cartucce standard Colecovision», all’eccezionale prezzo di 485.000 Lire.

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Il sistema COLECOVISION
ATARI VIDEO COMPUTER SYSTEM
PHILIPS: un portatile?

L’Atari (“magari!”, come recitava lo spot) con il suo System 2600, che costava un po’ meno (299.000 Lire), come le altre console funzionava collegandolo direttamente alla TV, e veniva venduto con l’omaggio di una bella cartuccia: Defender!

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Philips presentava il suo Videopac Computer G 7200 (davvero buffi questi nomi, non credete?) con il Monitor da 9″ in bianco e nero incorporato, un vero e proprio “portatile” annata 1984. Questo sistema vantava di funzionare anche su un normale televisore a colori. Certo i giochi erano quello che erano, vedere quei 4 colori anche in bianco e nero era davvero esagerato. Comunque l’idea era ottima.
C’era poi una delle console più vendute, almeno mi sembra di ricordare, l’Intellivision, alla cifra di 399.000 Lire. Uno dei suoi punti di forza erano la quantità di giochi disponibili e l’innovativo sistema di controllo utilizzato nei Joystick. Tuttavia, c’è sempre qualcosa che si vende di più, senza una vera ragione, come se la sorte scelga casualmente un fortunato a miglior destino.

Una cosa che mi ha colpito, riguardando queste vecchie riviste, è la scarsità di “propaganda tecnica” che accompagnava le pubblicità. Non venivano osannati il numero di colori, le velocità delle CPU, la memoria, nessuno menzionava nulla che potesse in qualche modo confondere il lettore, un potenziale acquirente. Non si era ancora diffusa quella terminologia così oggi abusata. Si cercava di utilizzare parole simili all’italiano e di grande effetto come vision, video, system, ecc..

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Questo arsenale della Colecovision era il mio preferito. Si noti (ingrandendo la fotografia) anche il Modem a cuffia. Era davvero completo con il suo Monitor, la stampante. Chi a quei tempi non ha sognato di averlo?! Con le sue 415.000 Lire di costo, vantava anche una interfaccia seriale-parallelo e un registratore a cassette!! Cosa da non credere

Ma la vera battaglia ci fu tra due gioielli della storia dell’informatica di quei tempi: il Commodore 64 e lo Spectrum della Sinclair. Due veri e propri colossi che dominarono le scene tra la fine del 1983 e il 1985, mentre i PC (Personal Computer più professionali) aggiustavano il loro MS-DOS.

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Qui lo scontro fu davvero duro. Si formarono ben presto due schieramenti: quelli dello Spectrum e quello del Commodore! Ciascuno accanito sostenitore del proprio investimento. Alla fine però, come sappiamo, il C64 ebbe la meglio, nonostante l’indubbia qualità del prodotto della Sinclair. Come è accaduto tra PC/Microsoft e Apple, nessuno sa davvero perché l’uno ha avuto la meglio su l’altro, sappiamo solo che – in qualche modo – doveva accadere.

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E pensare che uno dei fautori dell’espansione e della diffusione del concetto di Home Computer, e poi di Personal Computer, fu il TI99 della Texas Instrument, l’antesignano del C64 e dello Spectrum. Ricordo che la prima volta che vidi un TI99 fu in una trasmissione televisiva, forse Domenica IN, dove veniva spiegato che i Computer – gli Home Computer – erano il futuro, perché, a differenza delle console che promettevano solo giochi, erano in grado di svolgere numerose altre funzioni tra cui quella diessere programmati a piacere. Nella trasmissione si dimostrava come era facile disegnare e progettare un semplice Video Games o usare il Computer come potente calcolatrice. Le console, come sappiamo, non sono comunque scomparse dal mercato. Una macchina dedicata offre sicuramente prestazioni superiori a qualsiasi PC, per quanto “carenato” possa essere. Anche se, ultimamente, questo potrebbe non essere più vero!

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Già a quei tempi, infatti, le cosiddette console da Bar offrivano una grafica e un’animazione davvero incredibile. Ricordo che passavo ore a guardare quei magnifici capolavori, fatti di pixel e codici misteriosi. Era una sfida cercare di ricreare quegli effetti sul Computer domestico, quindi meraviglioso trovare interviste e fotografie ai programmatori di giochi, emozionante sbirciare nei loro studi, cercare di capire che diavolo di macchine usassero per creare i giochi “da Bar”.
Il Gruppo Editoriale Jackson a quell’epoca la faceva da padrone all’edicole. Molte delle riviste d’informatica portavano il suo marchio, prima che la concorrenza lo rendesse “uno dei tanti – senza offesa! Anzi, dobbiamo a questi gruppi editoriali il merito della difuusione “informatica” di quegli anni. Di particolare interesse, su questo numero, compariva un’intervista esclusiva. La redazione di Video Giochi si era recata a North Halsted, Chicago, a visitare una software house capitanata da Eugene Jarvis autore di Defender, Stargate e Robotron. Qui Jarvis aveva fondato una suo “piccola” società, la Vid Kidz, deve lavorava felicemente in proprio.

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Dopo essersi laureto in scienza dell’informatica ed ingegneria elettronica nel 1977 all’università di Berkeley, Jarvis fu assunto alla Hewlett-Packard. Si licenziò dopo tre giorni. «Il problema principale» spiega Jarvis «è il fatto di lavorare in una grossa ditta. Quando stai facendo un lavoro creativo non hai voglia di chiedere il permesso ogni volta che devi fare qualcosa».

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Già al tempo le infrastrutture societarie logoravano evidentemente l’inventiva e la tranquillità degli sviluppatori. Jarvis andò così all’Atari, e si mise a lavorare sui flipper. La sorte gli era avversa e la sezione dei flipper venne chiusa: un campanello d’allarme della nuova era informatica. Quando tra il 1977 e il 1979 arrivarono nella case degli americani i primi videogiochi, Jarvis ne fu subito colpito e iniziò a giocarci. «Ero un vecchio giocatore di flipper […] ma improvvisamente mi misi a giocare solo a videogiochi. Li ritenevo i migliori giochi in circolazione. Fu allora che decisi che volevo farne uno!».
Fu così che nel Febbraio del 1980 iniziò lo sviluppo di Defender, un classico. Con i suoi 24K di memoria, 16 colori, suono generato dal chip sonoro 6800, microprocessore 6809, e uno scroll orizzontale con effetti parallasse, era davvero uno spettacolo per quei tempi. Continuando a girovagare nello studio di Jarvis, ammiriamo il tavolo da lavoro. Un sistema P 6809 spicca sul tavolo, insieme a un disco Winchester da 20 Megabytes e due
floppy da 5″ ¼ capienza massima 700Kbytes! Il P 6809 «è il più avanzato microprocessore ad 8 bit in commercio» sottolinea Jarvis «Va molto bene anche se probabilmente la prossima generazione di videogiochi utilizzerà Chip a 16 bit». Il linguaggio di sviluppo non poteva che essere l’Assembly. «Usiamo questo linguaggio per sfruttarne la velocità. Sarebbe più facile scrivere un gioco in Basic o Pascal, ad esempio, ma con l’Assembly il programma gira più velocemente e fa sembrare il nostro 6809 un IBM P70».

Nell’intervista originale Jarvis fa una risata a questo punto e noi non possiamo che seguirlo in questa sua veggente esternazione. Nella sede del creatore di Defender possiamo ammirare anche Computer Space, il primo videogioco da bar della storia.

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È proprio vero che di acqua sotto i ponti ne è passata da quei tempi. Ma è vero anche che i progressi tecnologici di questi anni ci hanno fatto dimenticare di come si programmava una volta. Non esistevano tool di sviluppo standard come oggi.

«Sviluppiamo tutto noi stessi. Perché vogliamo comprendere ogni passaggio e poi perché abbiamo degli alti standard di qualità. Quando fai un gioco te lo devi scrivere tu». Come gli si può dare torto?
La qualità sembra essere inversamente proporzionale al progresso tecnologico e questo non vale solo per l’informatica, evidentemente. La programmazione Assembly e un’approfondita conoscenza hardware della macchina su cui si lavora, stanno progressivamente scomparendo dal bagaglio culturale dei “nuovi sviluppatori”. Chi come me ha vissuto e continua a vivere seguendo quello “stile di sviluppo”, cederebbe volentieri i Gigahertz di oggi per un P 6809 a 2 Mhz di ieri. Nulla, crediamo, è oggi paragonabile ai risultati che si ottenevano in quegl’ anni. Chiediamoci, dunque, se ne è valsa davvero la pena.